Oxford Languages a proposito del museo riporta questa definizione: raccolta, per lo più rispondente a criteri di ampiezza e di organicità, di opere d’arte o di oggetti aventi interesse storico-scientifico.
Al mondo di oggi possiamo ritenere i teatri dei Musei dell’effimero?
Questa provocazione mi è stata lanciata da uno dei nostri cari lettori che, seguendo le varie stagioni teatrali dei principali cartelloni, ravvisa la presenza di un repertorio che ricalca, a grandi linee, sentieri eurocentrici di passate illustri menti e privilegia l’esecuzione dei brani più blasonati di questa produzione.
Si chiedeva così questo nostro lettore: ma quindi possiamo affermare con certezza di essere la cultura prediletta dalla divinità per la produzione musicale e questa predilezione si è forse esaurita in un paio di secoli e in un centinaio di fantastiche opere traslate direttamente dalla coscienza divina alle mani europee?
Se la riposta è sì, dunque, sosteneva lui, è inutile accanirsi con nuove produzioni: perché andare contro il supremo riconosciuto come archetipo di bellezza e di grandezza? Standardizziamo i nostri teatri e trasformiamoli in musei dell’effimero.
Ma, continuava lui, se così non fosse, non sarebbe il caso che il popolo si riappropriasse del teatro sia come luogo di aggregazione e di scambio di idee e sia come luogo di educazione?
Non è, forse, il teatro il posto in cui pensare di creare questo nuovo umanesimo tanto pubblicizzato in questi ultimi tempi, diffuso e promulgato come il nostro nuovo credo? Il posto in cui educare anche gli ultimi alla bellezza, il posto in cui tutti hanno diritto di entrare e non una vetrina elitaria?
La nostra discussione epistolare è andata avanti per un po’, ma alla fine abbiamo pensato di chiedere a voi di dirci cosa sono, dunque, oggi i teatri.
Giuseppe D’Amico