Cari lettori,
in questo nuovo numero vorrei pensare, insieme a voi, su come oggi si vive la musica. E non mi riferisco in termini passivi, perché oggi più che mai siamo inondati di musica in ogni luogo, reale o virtuale, ma penso alla pratica della musica in modo attivo.
Catapultiamoci per un attimo nei secoli scorsi, nei salotti borghesi o nelle corti nobiliari, nelle famiglie benestanti, e non solo, dell’Europa di un po’ di tempo fa. La musica era un vero diletto ed appunto vi era la proliferazione dei cosiddetti “dilettanti”, oggi termine usato in modo dispregiativo, mentre era all’epoca una prassi comune, quella di pratica per puro diletto di musica, lettura ed altre arti. Spesso tra i dilettanti vi erano anche grandi compositori e/o esecutori, che non avevano necessità di avere dei benefici economici dalle arti, ma appunto ne traevano godimento e gioia, in momenti di condivisioni familiare e sociale.
Oggi la musica non può più esser vista così, perché la musica oggi “non si fa”, ma prevalentemente si ascolta. Questo è un grande limite per veramente assaporarla nelle sue sfaccettature e conoscerla nel profondo. Non troviamo quasi più nelle case, salvo quelle dei nonni, il buon pianoforte verticale ma, al massimo, alle volte una tastiera con i tasti pesati, utilizzata dai bambini per pochi anni e poi riposta in uno scantinato o venduta nel mercato dell’usato. Quell’oggetto così ingombrante non c’è più, così come, piano piano, sembra dissolversi la voglia di cantare insieme brani per bambini o per ragazzi accompagnandoci con il pianoforte, o far sentire ai nostri ospiti qualche celebre brano pianistico dopo un pezzo di torta e caffè. Cosa sta succedendo? Come possiamo fare a far ritornare la bella musica dentro la nostra casa, nella nostra quotidianità?
E se ci spostiamo tra i ragazzi/e che oggi frequentano i Conservatori, cosa succede? Sarebbe bello capire se la dinamica della pratica musicale si esaurisce nello studio, e ancora studio, dei propri brani oggetto di studio o va in qualche modo oltre, se influenza il loro mondo circostante in modo propositivo. Quello che però, forse, a volte si nota è la mancanza di spirito d’iniziativa, di voglia di collaborare e di fare per il puro piacere di imparare o di dare una mano, senza dover sostenere un esame, acquisire dei crediti o senza un fine chiaro predefinito. Quanto è bello quando ci si aiuta suonando insieme? I nostri ragazzi, ed i pianisti in primis, dovrebbero trarre l’opportunità di imparare facendo. L’insieme, in musica, aiuta anche il solista, perché apre a timbri, attacchi del suono e sfumature diverse che se si è “limitati” ad ascoltare esclusivamente il proprio strumento forse non vengono percepiti.
La musica da camera, ma anche la musica per più strumenti in forma di trascrizione, suonata insieme, acquisisce delle peculiarità che variano da soggetto a soggetto…si impara a leggere attraverso gli sguardi, i respiri, i movimenti bruschi o lenti. Ci si innamora, nascono splendide amicizie, si impara a riconoscere gli stili e le prassi musicali, ci si diverte perché si sta facendo qualcosa di bello ed insieme. Insomma suonare insieme, anche per aiutare il proprio compagno di corso o per il piacere di leggere qualcosa a prima o “seconda” vista insieme, è un elemento che rafforza la dedizione verso il proprio strumento, che apre alla musicalità più eterogenea e non è assolutamente una perdita di tempo.
Oggi si ragiona molto per obiettivi, questa è la logica che fa ottimizzare tempi e spazi, che consente di ottenere risultati certi. Ma a volte, forse, serve un po’ di “sana lentezza”. Serve, magari un sabato pomeriggio…incontrarsi nelle aule libere dei conservatori e leggere insieme repertorio nuovo, vedere come “suona” magari un compositore completamente sconosciuto, vedere come poter giocare imparando, riuscirsi ad incuriosire respirando un’energia intrinseca che non riesce ad esplodere se non in questi contesti. Oppure, trovarsi nelle proprie case, insieme ad amici, vicini, e decidere di rovistare tra i ricordi per riprodurre un brano o anche una vecchia canzone nota, magari suonando a quattro mani o aiutandoci con le parole, con gesti ritmici che anche i più piccoli possono fare.
A volte, forse, bisogna tornare alle piccole cose, ai piccoli gesti che producono ricordi indelebili, perché per fare sviluppare l’amore verso qualcosa, quel qualcosa va vissuto, assaporato e non…solamente studiato.
Sara Moro