Questa domanda, dal tono sorpreso ed incredulo, ci è stata rivolta tutte le volte che abbiamo avuto occasione di raccontare l’esperienza vissuta il 14 settembre 2022 al Teatro Stabile di Potenza nell’eseguire per la prima volta in pubblico l’Ouverture del Macbeth di Beethoven, tratta dall’edizione Tigani, e adattata per l’Ensemble da Camera dell’Accademia Ducale di Pietragalla.
Ebbene sì.
Per quanto possa sembrare strano esistono ancora scritti di Beethoven che sono rimasti, diciamo, nei cassetti della storia, in qualche fascicolo di archivio.
Opere forse mai eseguite o eseguite solo qualche volta.
Spesso, infatti, risulta incerto il luogo dell’eventuale esecuzione e altrettanto spesso tali possibili esecuzioni sembrano non aver lasciato riscontri.
E’ sorprendente per chiunque, tanto più per tutti coloro che si interessano da tempo di musica, sapere che l’Autore più eseguito al mondo, con il suo vasto e immortale repertorio, possa, ancora oggi, regalarci ulteriori emozioni.
Ma è oggettivamente così.
Tutto questo non poteva certo sfuggire alla Fondazione Accademia Ducale che, tra gli obiettivi che la caratterizza, ha quello di far emergere e proporre opere inedite o comunque che raramente sono state proposte al pubblico, se non addirittura opere dimenticate.
In questo caso la Fondazione Accademia Ducale centro studi musicali di Pietragalla ha pensato bene di siglare una stretta collaborazione con il Centro Ricerche Musicali lvBeethoven.it con il chiaro intento di colmare tali vuoti, avviando un percorso ricognitivo, sia in ambito storico-filologico che tecnico-musicale, con il progetto ‘La ricerca diventa arte’.
La prima proposta presentata al pubblico è stata, per l’appunto, l’Ouverture del Macbeth.
Un’opera incompiuta che immaginavamo potesse essere in qualche modo funzionale a fare da degna e singolare introduzione ad una serata caratterizzata dall’esecuzione per ensemble da camera del Concerto per violino e orchestra op. 61 dello stesso Beethoven con la presenza straordinaria di Shlomo Mintz, ma che si è rivelata nel corso dell’analisi compositiva essere un significativo ed ennesimo tassello mancante della biografia del compositore tedesco.
L’opera è del 1808.
Dal sito del Centro Ricerche Musicali di lvBeethoven.it, a cui rimandiamo per una più completa lettura, evidenziamo i seguenti passaggi.
Biamonti 454. Macbeth, appunti per un’opera su libretto di Collin, dalla tragedia di Shakespeare, 1808 (non oltre il tardo autunno).
A quanto ci riferisce il Nottebohm, II, pagine 225-227, nel 1808, o forse anche prima, Beethoven si era accordato con H. J. von Collin per un libretto dal Macbeth di Shakespeare. Il poeta scrisse il primo atto, che fece stampare nel Wiener-Hof-Theater-Taschenbuch per il 1809, ma il libretto non andò oltre la metà dell’atto successivo perché, secondo quanto riportato da Matteo von Collin in una nota aggiunta alla raccolta delle opere del fratello, l’opera “minacciava di diventare troppo truce”.
Da qui cominciano i misteri. Prima fra tutto se almeno la sola Ouverture sia stata mai presentata in pubblico sia in presenza di Beethoven che dopo la sua morte.
Nelle sue “Memorie”, l’attore Heinrich Anschütz riferì di aver avuto una conversazione con Beethoven nell’estate del 1822, sulla messa in musica di “Macbeth”. Qui, però, non si trattava del progetto operistico del 1808, ma di una musica di scena per la tragedia di Shakespeare.
… secondo Dieter Martin, è probabile che Heinrich Joseph Edler von Collin (1771-1811) avesse iniziato la composizione del “Macbeth” di Shakespeare. Infatti nel 1807 Collin aveva pubblicato un documento programmatico “Sul dramma cantato”. Tuttavia, … fallì. Non completò il libretto ma lo spezzò a metà del secondo atto. Il primo atto completato apparve nel Wiener Hof-Theater-Taschenbuch dell’anno 1809 (pp. 87-109). Un recensore sconosciuto di questa pubblicazione trovò la trama “oscura e orribile”.
Veniamo allora alla cronaca degli ultimi anni.
Gli schizzi per il Macbeth sono essenzialmente raggruppati in tre raccolte di abbozzi. Esiste una pagina di schizzi conservata nella Beethoven-Haus su cui è scritto, “introduzione…Macbeth che si unisce improvvisamente al coro delle streghe.” Un altro album, nella British library contiene schizzi per Macbeth ed un trio chiamato “Geist”. Alcuni studiosi, incluso Gustav Nottebohm, credettero di ravvisare negli abbozzi del trio materiale in diretta relazione col coro delle streghe del Macbeth. Un terzo foglio di schizzi, conservato a Berlino, contiene indicazioni per l’azione e tratteggia l’introduzione. Tale versione fu completata nel 2000 da Albert Willem Holsbergen…
…la prima esecuzione mondiale dell’ouverture tratta dal lavoro di Holsbergen avvenne al Kennedy Center di Washington, il 20 settembre 2001. La seconda esecuzione pubblica avvenne…nella … città di Rennes, in Bretagna. La prèmiere europea fu affidata alla vigorosa direzione di Stefan Sanderling, direttore d’orchestra dell’Orchestre de Bretagne. Il giorno 29 Novembre 2002, all’ Opera de Rennes, venne eseguita come seconda parte di un concerto.
Successivamente si è realizzata anche una edizione discografica, nata dalla passione e dalla dedizione del direttore d’orchestra Robert Diem Tigani, che intervenne sul lavoro di Holsbergen, nell’ambito di modifiche di carattere orchestrale.
Arriviamo così alla nostra proposta del 14 settembre 2022 al Teatro Stabile di Potenza.
Un adattamento per un ensemble da camera composto da flauto, oboe, clarinetto, fagotto, corno e archi diretto dal M° Simone Genuini eseguito sulla base della versione Tigani in prima assoluta.
La struttura compositiva dell’Ouverture potremmo dividerla in tre sezioni.
La prima, si presenta “col materiale tematico per “il coro delle streghe”, che sarebbe dovuto seguire al termine dell’Ouverture stessa ad opera completata.
La seconda, introduce, per alcuni commentatori, “i caratteri di Macbeth e Lady Macbeth e (di) Macduff con le sue truppe suggerite da una pittura musicale della battaglia dove “il legno di Birnham” si muove per attaccare Dunsinane Hill.
Si ritorna, nella terza sezione, al materiale tematico del coro delle streghe.
In un’analisi della scrittura, così come si è presentata, è innegabile che con il procedere delle tessiture compositive, si ravvedano chiari segnali di convinte ricerche sperimentali che nel corso degli anni porteranno Beethoven a sviluppare le strutture più complesse degli ultimi lavori.
Una ricerca attenta, lenta, tenace e convinta, la sua, volta a cercare nuove sonorità, capaci di integrarsi con la struttura classica, con le regole e le norme consolidate di questa.
Sono convinto che per Beethoven fu chiaro, sin dall’inizio della sua esperienza compositiva, che le regole date fossero insufficienti e limitative per consentire un flusso adeguatamente completo di una qualsiasi narrazione musicale.
Non c’è contrapposizione nell’uso di regole date con altre che si sovrappongono. Le deroghe, che devono trovare e determinare nuovi equilibri formali, non solo sono possibili ma in qualche modo obbligatorie per dare completezza espressiva.
Il coraggio nel cercare i nuovi confini, che si alterna ad una moderata e ben controllata gestione delle sonorità più convenzionali, sono un progetto irrinunciabile che neanche la sordità riuscirà ad impedire.
Il Macbeth non è privo di tali tensioni, non è privo nel voler trovare gli equilibri necessari fra ciò che è noto con ciò che non lo è o lo è meno.
Un primo esempio è, diciamo, la modulazione usata nel passare dalla prima sezione alla seconda usando strutture armoniche ‘convenzionali’, che, però, si sviluppano attraverso l’uso di cellule ritmiche che esasperano la tensione della narrazione e che richiamano il loro ampio utilizzo nella scrittura contemporanea (bb.22-25).
Infatti la modulazione è formata da una settima diminuita costruita sul sesto grado innalzato cromaticamente, siamo in re minore, dunque Si-Re-Fa-Sol#, con la stessa tonica al basso, che verrà riproposta anche al termine della seconda parte, che risolve sul V° grado, (La maggiore settima), per preparare il successivo tema in re minore.
Nulla di rivoluzionario, ma la frammentazione ritmica altera la capacità espressiva diversamente da una convenzionale scrittura ‘verticale’ degli accordi stessi. Oltre ai passaggi cromatici dei due accordi è significativo lo ‘sdoppiamento’ degli stessi, dove si esaltano le quinte diminuite di Re-Sol#, prima, e di Do#-Sol, dopo.
Nella seconda parte, assieme al dialogo tra violini e oboe e all’incalzare del tutti per richiamare la battaglia dove “il legno di Birnham” si muove per attaccare Dunsinane Hill, emerge una sezione centrale in cui attraverso il crescendo degli archi e la loro interlocuzione con igl legni si materializza nuovamente la sesta diminuita sul IV grado della tonalità, che sarà l’accordo finale della seconda sezione (b. 339), ma in quest’ultimo caso l’accordo prosegue con l’inserimento dal pedale di La dei bassi prima di tornare sull’accordo di re minore.
L’inquietudine dell’inizio della terza parte si sviluppa, richiamandosi alla prima, con scale cromatiche all’interno della tonalità sostenute dagli accordi principali dei bassi di tonica e di dominante per arrivare alla battuta 344 dove sembrerebbe esserci un errore di trascrizione data dalla presenza di una poliritmicità che ingloba strutture diatoniche con quelle cromatiche e scontri di questi del tutto inattesi.
Infatti assieme alle terzine che sviluppano il pedale di tonica (re naturale) si sovrappongono quartine, quintine e sestine di una scala cromatica discendente in re bemolle con scontro cromatico non solo presente in battuta ma che viene più volte confermato.
Il dubbio iniziale di una incongruità nata da trascrizioni errate si è dissolto nell’analisi della scrittura stessa che si confermava nella distribuzione all’interno dell’organico orchestrale.
La sorpresa, se possiamo permetterci di definirla tale, l’abbiamo avuta dallo sviluppo successivo della composizione: dopo un ulteriore e breve, ma altrettanto interessante passaggio in cui sono presenti sviluppi armonici misti si giunge alla penultima battuta dell’Ouverture con l’apparire (finalmente !…) della nota enarmonica di re bemolle, il do diesis, che altro non è che la sensibile della tonica (re).
Ovviamente quel Do# appartiene all’accordo di La maggiore settima che risolve sull’intervallo di terza minore (Re-Fa) appartenente all’accordo di Re minore.
Ovviamente l’esecuzione della 334, con i rischi di intonazione che avrebbe comportato, una volta accertata la sua corretta stesura, ha richiamato un inatteso impianto dodecafonico incorniciato, sostenuto da un’altrettanta inattesa co-presenza tonale.
Il disorientamento, per altro preparato nelle battute precedenti, che trova il suo ‘climax’ in queste circoscritte battute è ovviamente scientemente voluto.
Così come l’inganno perpetrato dal camuffare la sensibile con il re bemolle.
Ma tale liceità serviva, probabilmente, a dare un impulso deciso nell’economia della narrazione del dramma che si sarebbe poco dopo dipanato.
Dunque possiamo continuare a sostenere l’idea per la quale tutto è lecito nella scrittura musicale, soprattutto se è funzione imprescindibile della narrazione, per la quale si esprime.
Giovanni Claudio Traversi