Prima ancora di parlare di musica contemporanea mi soffermerei su un punto che ne è, a mio parere, la base: perché oggi ascoltiamo, eseguiamo, componiamo musica? È un fattore di cui nè chi fa musica, nè chi ne fruisce spesso ha piena consapevolezza.

Siamo abituati alla figura del musicista o del compositore come una sorta di espansione del proprio ego: il divo che sale sul palcoscenico e mostra il grande divario che c’è tra sé e il resto del mondo.

In realtà se guardassimo al momento in cui si fa musica, che la si componga o esegua e percepissimo che ciò che accade ad un livello più profondo è in realtà in forte contrasto con l’egocentrismo in ogni sua forma, torneremmo al sublime che è intrinseco in essa. Quando parlo di osservare a livello più profondo, intendo prendere consapevolezza della connessione profonda con tutto il resto dell’universo intrinseca in tutti coloro che vivono a fondo l’esperienza di fare musica. Si tratta della consapevolezza di essere “al servizio” in quanto mezzi attraverso cui la musica trova espressione nella creazione o nell’esecuzione di un’opera d’arte ispirata.

Spesso ci troviamo a far discorsi su come la musica “dovrebbe essere”: tonale atonale, concreta, spettrale; quando ciò che realmente conta è ben altro. Qualsiasi compositore che al momento della scrittura sia in contatto, consapevolmente o inconsapevolmente, con quell’energia superiore di cui sopra, imprimerà sul foglio inizialmente bianco un’opera d’arte il cui stile non sarà altro che la lingua con cui essa sarà stata scritta. I caratteri tecnici e stilistici risulteranno essere un po’ come la lingua di origine. Se traduciamo un testo letterario, questo non avrà mai la stessa potenza comunicativa che possedeva in lingua originale perché in parte è un tutt’uno con la lingua nella quale è nato.

In quest’ottica se ci fermassimo ad analizzare la musica dal 900 ad oggi capiremmo che non tutto ciò che un grande compositore ha scritto è un capolavoro, perché non sempre tutto è ispirato… mentre ci sono opere sconosciute ai più che possono lasciarci assolutamente stupefatti all’ascolto. Questo infatti, a parità di consapevolezza tecnico-compositiva, non dipende affatto dallo stile della composizione, quanto dalla componente di profonda ispirazione intrinseca in essa.

Fare musica oggi in una società anestetizzata è una missione. Missione per chi scrive e missione per chi esegue, perché di quella dedizione alla bellezza si è persa consapevolezza per questioni di natura politica e sociale. Siamo stati portati all’incosapevolezza totale e al cinismo, ecco perché ci vuole il triplo dell’energia per andare a recuperare questa parte ed ecco perché fare musica oggi è diventato più difficile che mai. Più che sullo scrivere in questo o in quell’altro modo, mi concentrerei, infatti, sull’onestà intellettuale di ogni opera, che se proveniente dalla continua ricerca del “bello”, avrà una sua dignità da ogni punto di vista. Il bello non è universale, può nascondersi dietro una melodia tonale, quanto dietro suoni bianchi di potenza astratta… ecco perché risulta sempre più importante oggi l’apertura, che possa scagliarsi contro ogni forma di rifiuto di questo o quell’altro linguaggio.

Ciò è importante per i compositori, ma vale lo stesso per gli esecutori: non si può suonare come se si stessero alzando dei pesi in palestra. C’è necessità oggi di ritrovare quella profonda connessione con la musica stessa, con la bellezza che essa porta e che è nascosta a volte dietro la brutalità, a volte nella perfezione della forma e altre volte ancora nella frammentazione di essa.

Se ci si dimentica di questa ricerca, di questa dedizione al bello, concentrandosi soltanto sul farsi guerra l’un l’altro per ottenere il primato di “linguaggio migliore”, sarebbe forse meglio, per il bene di tutti e per la salvaguardia della musica stessa, valutare di cambiare mestiere.

Ludovica Del Bagno, violinista

3 risposte

  1. “Fare Musica è una Missione”: penso anche io sia proprio così! Qualcosa di indescribile, prezioso che corre nelle vene e che nel suo scorrere si arricchisce fino a traboccare, donandosi agli altri! Credo fortemente in questo! Complimenti per la profondità e l’intensità del tuo bellissimo pensiero! Bravissima!

  2. Seguo e stimo da tempo la bravissima Ludovica Del Bagno, e non c’è dubbio che abbia colto nel segno con il suo scritto. Sommessamente il sottoscritto desidera soltanto fare alcune considerazioni attorno allo stato della cultura musicale nel nostro paese. Senza trarne, ovviamente , conclusione alcuna, anzi ,se possibile suscitare nuove sollecitazioni per intervenire al dibattito. Intanto, una affermazione basilare: la musica è arte, questa identificazione lessicale gioverebbe alla musica, relegata troppo spesso nell’ambito del divertissement ( musicista-giullare). È paradossale, ma la musica meno conosciuta è quella che appartiene al nostro secolo. Quasi tutti riconoscono I nomi di Beethoven, Bach, Verdi, Chopin. Ma i nomi e i brani ,della musica cosiddetta colta (cioè meditata, strutturata, stratificata) di oggi sono sconosciuti o rifuggiti. Perché da qualche tempo a questa parte la musica di adesso è per la quasi totalità degli ascoltatori quella che trasmettono le radio e le televisioni e che si condivide sui social: le canzoni ( pop ,rock, rap,soul…). Altrimenti è roba del passato. La formazione del pubblico in un paese in cui l’educazione musicale di massa è pressoché inesistente e in cui la presenza di spettatori paganti agli spettacoli di musica colta è complessivamente inferiore all’1% della popolazione, richiede iniziative specifiche e mirate. Non è assolutamente vero che il pubblico non gradisce la musica colta. Non la conosce affatto. Ed è subissato da pregiudizi artatamente approntati. L’ unica cosa che c’è da sapere è che la musica non è necessariamente una cosa piacevole o un passatempo, quindi può essere impegnativa. La musica dev’essere interessante, sicché le opere più difficili o impopolari vanno approcciati con questa consapevolezza. La musica non è una sorta di spa treatment. Non fa stare bene, non è una tisana calda che fa distendere i nervi. Afferma Andrea Talmelli:<>. Mi sono note le idee a proposito di parecchi compositori, ma francamente non condivido quelle di un giovane compositore che afferma in un’intervista che: <> . Ma non dice chi sino ad ora ci ha spaventato e come avvicinare l’ ascoltatore. Ben venga quindi l’iniziativa della SIMC, lodevole sotto tutti gli aspetti . Achille Bonifacio.

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