L’eternità di un’opera che muta nel tempo

Teatro, opere, concerti… ma ha davvero un senso in un mondo in cui basta accendere il televisore, il cellulare o il PC per avere davanti qualsiasi realtà virtuale in cui ci si desidera immergere?

Perché dovremmo andare a teatro, quando possiamo essere catapultati in melodrammi a nostra scelta comodamente seduti sul divano di casa?

Perché dovremmo ancora scrivere musica, insegnare musica, parlare di musica, se sembra essere tutto ormai stato già scritto? Se il debito con la cultura è già stato saldato dai grandi geni del passato, ha davvero un senso cercare il nuovo o capitolarsi sul passato alla ricerca di ció che non è stato ancora scoperto; e se di questo si tratta, non si riduce ad essere una ricerca del tutto egoica ed autoreferenziale?

Chi siamo noi per dare “interpretazioni” di opere suonate e risuonate magistralmente dai più grandi esecutori ed interpreti del passato?

Ma soprattutto… siamo sicuri che facendoci queste domande stiamo agendo sullo stesso piano delle arti a cui ci stiamo riferendo?

A me pare che a volte nel porre molti di questi quesiti e nel darci le rispettive risposte ci dimentichiamo dell’essenza stessa della musica, in cui tutte queste domande si dissolvono perdendo di significato: è come parlare del caldo umido e appiccicoso del bordo spiaggia a chi si trova su un monte a 2000 metri di altezza. Essere su due piani differenti significa esattamente questo e quando ci troviamo al cospetto della musica, che ci trasporta su quell’alta vetta, facendoci toccare con mano il divino, allora non riusciremo neppure a sentir mormorare quelle domande nella nostra mente, perchè esse nascevano dai 40 gradi scottanti della sabbia.

Allora proviamo semplicemente a farci illuminare dalla musica; vi propongo un ascolto chiedendovi: esiste davvero una musica che esprime il nostro tempo? Esiste davvero uno stile che può essere considerato “contemporaneo” universalmente?

Se una musica del 700 può essere espressione dell’interiorità di una persona della nostra società mentre, contemporaneamente, un brano del 900 lo é per suo fratello e uno scritto ieri lo è per me: allora quale dovrebbe essere la musica da scrivere, ascoltare ed eseguire in quest’epoca? Si dovrebbe fare un passo indietro, oppure continuare a rinnegare ciò che è stato per smuovere qualcosa polemizzando sul passato?

Ops… mi sa che sto ancora parlando dalla spiaggia di ciò che si trova a 2000 metri!

È difficile (oppure no)… ma non è che forse concentrarci troppo su come la musica dovrebbe essere ci sta facendo allontanare da ciò che essa è? Dovremmo chiederci: siamo sul piano della mente o dell’anima? E soprattutto… queste non sono semplicemente due diverse prospettive dalle quali stiamo osservando uno stesso contesto, uno stesso oggetto che ci sembra tanto buio perché abbiamo davanti agli occhi delle lenti scure che non ci permettono di avere percezione della luce?

Vi lascio a Epitaph for Moonlight di Raymond Murray Schafer (1933-2021), compositore ed educatore musicale d’avanguardia canadese noto per i suoi distintivi paesaggi sonori e per l’influenza dell’ambiente sulle sue composizioni, spesso legate alle metodologie di insegnamento sviluppate. Il suo scopo era quello di creare una connessione tra la sua filosofia e metodologia di insegnamento e le sue strategie compositive. Epitaph for Moonlight ci mostra come i due mondi siano complementari ed intrecciati nel suo linguaggio compositivo in cui i cantanti improvvisano in base a date indicazioni di altezza, durata ed intensità. La partitura è scritta graficamente, partendo dall’idea che questo possa essere un linguaggio ugualmente, se non più efficace a livello di comunicazione tra intenzione del compositore e realizzazione dell’interprete. A dar luce alle voci avremo l’inserzione di una selezione di strumenti a piacere: campane, glockenspiel, vibrafoni, metallofoni e piatti, utilizzati in modo tale da evocare effetti luminosi simili a quelli della luce lunare riflessa sull’acqua.

Epitaph for Moonlight

Il brano ci appare fin dal principio come un magma sonoro in continua e graduale evoluzione. In partenza vi è una sola voce affiancata dalle successive che si aggiungono l’una dopo l’altra creando un effetto di discendenza stereofonica. Esse si configurano come anime alla ricerca di una collocazione, ma trasportate irrequietamente dagli alti e bassi del vortice infernale. Ci sembra di assistere inizialmente alla materializzazione del rosso porpora degli inferi, mostratici pian piano sempre più vividamente da ogni anima che viene trasportata giù dal vortice. É come se all’imporsi di ogni voce noi avessimo un tassello in più dell’immagine che stiamo osservando, la quale continua ad assumere, secondo dopo secondo, sempre più significato, dando forma al contesto.

Ad un tratto dal vortice che sembrava trasportare le anime verso il basso si innalza una sorta di vento che le sospinge verso l’alto, dandoci un effetto sonoro di apertura che si traduce melodicamente nella successione di intervalli ascendenti progressivi che sembrano andare a colmare quello spazio preso dalla discendenza delle primissime battute. Segue un momento di stasi in cui il chiacchiericcio si fa predominante: questa emissione, che sembra quasi casuale, frammentaria e segmentata si fa portavoce delle anime, che si trovano adesso dislocate. Ora il vento che le spingeva di qua e di là sembra essere silente ed esse si ritrovano del tutto smarrite; ecco che si uniscono in un’emissione univoca che assume un tono di vera e propria evocazione.

Gli spiriti guida, in una sorta di mormorio dal tono sussurrato, danno indizio della loro presenza, così le anime riprendono ad essere sospinte verso il basso in un vortice che va, poi, ancora verso il cielo, dando il via ad un irrequieto moto ondulatorio che costruisce delle oscillazioni causa di sorpresa e spavento, seguite da un momento di totale sospensione.

Udiamo una voce che si impone, quasi a voler dimostrare di avere del buono in fondo e di non meritare tutta questa irrequietudine; sembra narrare delle sue esperienze di vita con una certa ammaliante liricità, quando tutto d’un tratto é raggiunta dalle altre anime, ognuna delle quali inizia ad imitarla provando a raccontare di sè e del bene presente nella propria storia, dando vita ad un momento di liricità nuova che finisce per creare un effetto stereofonico ad ampio raggio.

Ecco ancora un mormorio degli spiriti guida, subito sospesi dal canto delle anime che riprendono come sirene ammaliatrici, decise a trovare il modo di sottrarsi alla propria pena infernale.

Traspaiono però delle micro-armonie dal tono impositivo affiancate da bruschi crescendo dinamici che ci danno indizio della loro cattiva intenzione di volersi salvare attraverso il dono dell’ugola ammaliante.

Alla mancata reazione degli spiriti le voci iniziano a spegnersi pian piano nel silenzio, risucchiate in un vortice mortale che trasporta verso gli inferi in una discesa melodico-dinamica di grossa intensità, quasi come se la loro punizione fosse proprio quella di dover giacere nel silenzio, non potendo più in alcun modo far uso della propria voce.

Molti penseranno: e se ogni anima fosse un musicista dei giorni nostri a cui è stata tolta la voce?

Io invece vi chiedo: e se invece la sua voce la ritrovassimo proprio nella poeticità di un’afonia meritata o imposta?

Forse sono vere entrambe, o nessuna delle due.

Io direi che se ciò che avete ascoltato vi ha in qualche modo emozionato, sul piano della musica abbiamo raggiunto la più alta e divina realizzazione.

Ludovica Del Bagno

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