Cari lettori,
quante volte vi è capitato di dire “NO”? Oppure ancora, quante volte vi è capitato di desiderare di poter dire “SI”? A cosa mi riferisco? Alle cosiddette “scelte”, quelle scelte che spesso si compiono e da cui scaturiscono opportunità e/o occasioni mancate. La nostra quotidianità è un susseguirsi, più o meno ordinato, di scelte ed azioni conseguenti in un dato tempo. In questo contesto la gestione del tempo la fa da padrona perché avere il tempo per poter FARE è un elemento determinate e prezioso.
Sono tante le domande a cui, ad ogni età, livello di formazione, nella fase di studio così come nella professione, diamo delle risposte, quesiti che ci portano in un’area grigia dove occorre compiere delle scelte.
La scelta di cosa e di quanto FARE è dipanabile in mille contesti. Pensiamo anche solo alla complessità – non sempre percepita – della scelta di un programma da concerto. Proporre ad un comitato artistico una locandina di brani di facile ascolto e da tutti riconoscibili può essere un punto di forza, ma al contempo può mostrare la profonda mancanza di carattere e di autenticità, una mancanza di quella vera forza di cui abbiamo bisogno nei nostri tempi per continuare a sognare un mondo migliore e diverso, in particolare nella musica. Qual è il giusto compromesso, il giusto punto di equilibrio, tra intraprendenza e caparbietà ed accomodamento e standardizzazione, tra l’essere saldamente legati ad una realtà sociale e culturale che può apparirci immutabile e il poter FARE per arrivare a qualcosa di utopisticamente diverso ma certamente più ragionato e meno precostituito? Sino a che punto occorre spingersi con le proprie idee e sino a che punto ci sentiamo liberi di battere sul ferro bollente per forgiare qualcosa che ancora non esiste ma che stiamo realizzando? Abbiamo veramente chiaro come operare e per quale fine, in particolare in campo musicale e culturale in genere? Quanto viene lasciato alla singola individualità e quanto ci viene suggerito dalle Istituzioni? Quanto è sempre “colpa degli altri”?
Cerchiamo ora di calarci sul profilo educativo e formativo. Poniamoci nell’ottica di un docente: quanto è giusto chiedere ai propri allievi? Non bisogna fare tanto, ma probabilmente oggi è il fare troppo poco che andrebbe evitato.
Molti di noi hanno la consapevolezza che negli ultimi decenni si stia assistendo ad una lenta riforma, direi di “pensiero” oltre che economica ed organizzativa, nel mondo delle università e dei conservatori o, meglio, nel sistema di formazione nel suo complesso. In Italia vigeva prima un sistema estremamente selettivo. Le materie universitarie erano tomi enormi, con esami annuali, e che potevano apparire infinite agli studenti. Gli esami in conservatorio arrivavano ad essere triennali (e servivano realmente tre anni per prepararli adeguatamente); tutto il lavoro si cristallizzava in una giornata massimo due (con il rischio di perdere un altro anno di tempo o, peggio, di essere mandato via dall’Istituzione che ti stava formando). Non tutti ce la facevano e chi riusciva a conseguire una così importante tappa veniva forgiato a vita dalla vittoria.
Qualche tempo fa, partecipando ad un interessante convegno di settore, ho ascoltano l’intervento di un musicista – tra i massimi esponenti attuali del concertismo internazionale – pronunciare elogi di sincera gratitudine verso il proprio primo maestro (e relativo piccolo conservatorio in cui lo stesso si formò da giovanissimo) proprio sul tema del FARE nel poco tempo. Il primo maestro aveva preteso che l’attuale concertista, quando si trovava in età adolescenziale, studiasse così tanto ma così tanto repertorio…leggendo l’impossibile ed oltre. Senza questa mole di lavoro – ammette lo stesso anni dopo – non avrebbe avuto la carriera internazionale che oggi ha consolidato. Si è trattato di un bagaglio di lavoro pronto per la carriera e la professione.
Quindi quanto e cosa studiare? Poche cose ma buone certamente sì, ma anche tanto studio, lettura ed analisi di input che poi potranno essere approfonditi in seguito. Fare tanto e male è sicuramente sbagliato, ma per avvicinarsi a qualsiasi esperienza lavorativa seria penso serva produttività ed efficienza. È indispensabile saper creare i propri oggetti di lavoro nel tempo disponibile, sempre troppo scarso, e raggiungere dei risultati concreti con i mezzi ed il contesto non sempre ideale ma tagliato sulla realtà.
Oggi il sistema di formazione è più modulare, consente un assorbimento ed evoluzione più graduale, comprende molte verifiche intermedie e step. Ciò ha consentito di poter superare quegli scogli prima quasi insormontabili presenti in tutte le discipline ma, mi domando, è sempre giusto questo approccio? Ha indubbi vantaggi e benefici ma come facciamo entrare i nostri ragazzi nel mondo professionale se gli risparmiamo le nottate insonni, quelle notti a suon di caffè che tanto possono irrobustire la nostra volontà di conseguire risultati sempre più ambiziosi?
Forse è proprio lo squilibrio che, a volte, occorre cercare, per misurarsi con impegno, forza d’animo, determinazione e volontà.
Tutto quanto, ritornando al manifesto nel nostro Blog, nell’inesorabilità del Tempo.
Sara Moro